“Se vi sentite male, sperate che il dottore sia femmina”
così esordisce un articolo apparso recentemente su Repubblica.it
L’argomentazione è che ci sono prove che le donne medico pratichino la medicina in modo diverso dai colleghi maschi, ed in particolare affrontino diversamente il rapporto con il paziente.
E sembra non si tratti di semplici opinioni, anzi! Un gruppo di ricercatori dell’Harvard University ha condotto uno studio sull’argomento, dal quale è emerso che non basta applicare i protocolli e terapie, serve che i dottori mettano al centro il paziente, comprendano le sue difficoltà, anche quelle non strettamente mediche. Ed in questo le donne sembra proprio che siano più brave.

La ricerca di Harvard indica che al successo delle dottoresse contribuisce la capacità di coniugare la medicina con l’attenzione alle condizioni di vita dei loro assistiti al di là dell’ospedale. Le abitudini, l’ambiente ed il comportamento nella vita di tutti i giorni influenzeranno in modo anche decisivo la guarigione.

Eppure, ahimè sono proprio le donne a lasciare più spesso la professione medica. (Almeno negli USA, in Italia mancano i dati).
Secondo un articolo pubblicato su Medical Economics, le cause del burn out delle donne medico statunitensi sta sostanzialmente nel gap retributivo.

In Italia, invece, secondo Gabriella Tanturri, presidente dell’Associazione Italiana delle Donne Medico (Aidm) i dati non sono facilmente reperibili.

Certo è che se sul piano del rendimento scolastico le donne tendono in maggior numero a laurearsi in tempo e con votazioni mediamente più alte, nel mercato del lavoro la situazione si capovolge, con un netto vantaggio maschile.
Tra le principali difficoltà elencate dall’esperta, figurano «il carico aggiuntivo della gestione della vita familiare, presente anche nelle nuove generazioni al momento della nascita dei figli, ma anche discriminazione e molestie”.

Concordo pienamente con le conclusioni di Gabriella Tanturri sul fatto che è necessario un profondo cambiamento culturale.
E’ necessario valorizzare sì l’approccio femminile alla professione, ed è altrettanto indispensabile la riduzione del precariato ed, in primis, il sostegno alla maternità.