segue da PNEI: l’impatto della mente sulla salute (1)
La nascita della psiconeuroendocrinoimmunologia
Robert Ader è considerato il padre della PNEI moderna. Le sue prime ricerche, che prevedevano il condizionamento nei ratti, aprirono le porte per lo studio della comunicazione immune cerebrale.
Le cellule immunitarie attaccano il cancro
Esperimenti sul condizionamento psicologico incapparono accidentalmente nell’interazione cervello-sistema immunitario.
Robert Ader, psicologo, lavorava a stretto contatto con Nicholas Cohen, un immunologo. La loro specialità li ha resi la squadra perfetta per il lavoro, anche se in un primo momento non se ne resero conto e la loro scoperta fondamentale è stata frutto di serendipità.
Ader stava lavorando su varianti del classico esperimento sui cani di Pavlov: la salivazione nei cani era condizionata da uno stimolo uditivo – come quello di un metronomo – ogni giorno prima del cibo. Di conseguenza, lo stimolo induceva la salivazione anche senza la presenza di cibo. Nella sua versione dell’esperimento, Ader somministrò ai ratti diverse quantità di soluzione di saccarina e contemporaneamente li iniettò con Cytoxan – un farmaco che induce disturbi gastrointestinali e sopprime il sistema immunitario e i ratti furono condizionati a non bere la soluzione.
In seguito, Ader cessò di iniettare i ratti, ma continuò a mettere loro a disposizione l’acqua con saccarina. I topi evitarono di bere la soluzione ma, stranamente, alcuni di loro morirono.
Notò che la risposta al condizionamento di non bere e il livello di mortalità variavano in relazione alla quantità di acqua di saccarina che era stata resa disponibile.
I risultati incuriosironoAder: sembrava che risposta al condizionamento di non bere avvenne come previsto, ma, inaspettatamente, in corrispondenza si riscontrò anche un calo nell’immunità.
In un’intervista del 2010, Ader ha spiegato: “Come psicologo, non ero a conoscenza del fatto che non ci fossero connessioni tra il cervello e il sistema immunitario, quindi ero libero di considerare ogni possibilità che potesse spiegare questa relazione sistematica tra la mole della risposta condizionata e il tasso di mortalità. Un’ipotesi che mi sembrava ragionevole era che, oltre a condizionare la risposta al condizionamento di non bere, stavamo condizionando gli effetti immunosoppressivi. ”
Il suo studio successivo, pubblicato nel 1975, dimostrò oltre ogni dubbio che la sua intuizione, benché sorprendente e apertamente derisa da altri scienziati, era corretta. Il gioco era davvero cambiato. Un segnale neurale (gusto) era riuscito a innescare una riduzione condizionata del sistema immunitario. I risultati furono replicabili, e sebbene la teoria avesse ricevuto qualcosa in più della sua giusta dose di flack, non sembrava esserci altro modo di spiegarlo.
Tutto ad un tratto, il sistema nervoso centrale e l’immunità andavano a braccetto.
Aumentano le prove del legame cervello-sistema immunitario
A seguito di questi esperimenti, la scienza ha iniziato a costruire un modello di questa nuova e inaspettata interazione. Il cervello e il sistema immunitario sono ormai noti per avere una miriade di connessioni funzionali. Se il sistema immunitario era in combutta con il sistema nervoso, ci devono essere punti in cui si intersecano, e ben presto anche questo fu dimostrato.
Nel 1981, David Felten ha fatto la successiva grande scoperta individuando una rete di nervi che portava ai vasi sanguigni e, soprattutto, alle cellule del sistema immunitario. La squadra di Felten trovò i nervi nel timo e nella milza che terminavano vicino a gruppi di importanti componenti del sistema immunitario: linfociti, macrofagi e mastociti.
Nel 1985, Candace Pert trovò neurotrasmettitori e recettori neuropeptidici sulle pareti cellulari del sistema immunitario e del cervello. Questa scoperta ha dimostrato che le sostanze chimiche di comunicazione del sistema nervoso potrebbero anche parlare direttamente al sistema immunitario.
Ciò che ha reso questa scoperta particolarmente affascinante è stata la scoperta di collegamenti neuropeptidici al sistema immunitario.
Il ruolo dei neuropeptidi
I neuropeptidi sono le ultime molecole riconosciute come neurotrasmettitori. I neuroni li usano per comunicare tra loro e, ad oggi, più di 100 neuropeptidi distinti sembrano essere utilizzati dal sistema nervoso. Piuttosto che l’azione relativamente breve del neurotrasmettitore classico, i neuropeptidi hanno effetti più duraturi e possono influenzare un gran numero di processi, dall’espressione genica alla costruzione di nuove sinapsi.
È interessante notare che i neuropeptidi sono implicati in una vasta gamma di funzioni che coinvolgono un aspetto emotivo. Per esempio, i neuropeptidi sono noti per avere un ruolo nella ricerca della ricompensa, nei comportamenti sociali, nella riproduzione, nella memoria e nell’apprendimento.
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